Speciale FotoNote: il nuovo volume su Vivian Maier

Pubblicato il : 18/11/2024 15:18:03

Una vita da governante, silenziosa e nell’ombra dei ragazzi che accudiva. Un destino da fotografa, ora che sono state trovate, catalogate, studiate e ammirate le sue tante immagini, molte neanche sviluppate quando lei era in vita.
La storia di Vivian Maier è unica e affascinante come lo sono le sue fotografie, che catturano scene di strada, e i suoi ritratti sfuggenti.
Ecco un estratto dalla sorprendente introduzione di Anne Morrin al volume dedicato a Vivian Maier che uscirà nella collana FotoNote.



La storia del mondo non è sempre stata scritta in modo lineare, mentre si andava dipanando. Forse perché talvolta arriva un momento propizio in cui la storia cambia direzione. Si divide in due per risalire il corso del tempo e rivelare angoli dimenticati. Ripercorre i suoi passi troppo affrettati e indaga le zone d’ombra, mondi ignorati che si rivelano vaste terre emerse dalle acque. È il caso di Vivian Maier, una donna sconosciuta che ha vissuto la sua vita in silenzio. Una storia che già svaniva mentre veniva scritta, un volto appena accennato… Miss Maier, considerata in vita come una “tata”, una “governante” o una “babysitter” è oggi “Vivian Maier, fotografa”, una grande donna che si colloca nella storia della fotografia accanto alle più grandi figure del XX secolo. 

Nata a New York nel 1926 da madre francese, Maria Jaussaud, e padre di origine austro-ungarica, Charles von Maier, Vivian trascorre la prima infanzia in un’atmosfera cupa, funestata dai litigi dei genitori. All’inizio degli anni Trenta, il rapporto tra Charles e Maria si è deteriorato a tal punto che la donna finisce per cedere. Maria e sua figlia si trasferiscono nel Bronx, a casa di una cara amica, Jeanne Bertrand, artista e fotografa di fama. Poi, inizia un’interminabile serie di andirivieni tra New York e la valle del Champsaur, sulle Alpi, dove Maier passerà parte della sua infanzia. Alla fine degli anni Quaranta inizia a interessarsi alla fotografia e scatta le prime foto con una Kodak Brownie che probabilmente apparteneva alla madre. Ritratti e paesaggi sono i suoi soggetti preferiti. Li colleziona nel corso di lunghe passeggiate tra pianure e valli, da un borgo all’altro. Queste fotografie sono un’affascinante testimonianza degli esordi del suo linguaggio visivo, delle specificità che sarebbero diventate parte integrante del suo stile. Vivian Maier è un’autodidatta e il suo status di fotografa amatoriale le dà la libertà di inventare il proprio stile visivo. Lo sviluppa con costanza e assiduità dai primi anni Cinquanta – quando si trasferisce definitivamente a New York nel 1951 e poi a Chicago nel 1956 – fino ai primi anni Novanta. Si stima che il suo intero archivio consista in quasi 150.000 immagini e 300 pellicole Super 8 e 16 mm, una quantità impressionante per una fotografa amatoriale.

Chicagoland, 1975 © Vivian Maier/John Maloof Collection


Nel cuore della società americana, anche nelle sue forme più organiche, Vivian Maier osserva minuziosamente il tessuto urbano, che già riflette i grandi cambiamenti sociali e politici della sua storia. È l’epoca del sogno americano, dell’egemonia e della modernità sovraesposta a tutti i costi, il cui rovescio costituirà l’essenza stessa del lavoro di Maier. La ritrarrà con fotografie e filmati, creando un linguaggio visivo che si colloca tra la fotografia umanista – una sensibilità che deve alle origini francesi – e la street photography americana. Scene di strada, ritratti, autoritratti, gesti, dettagli: questa è la griglia esatta entro cui Vivian Maier raffigura il proprio tempo. 



[...] Maier si diverte anche a catturare le tracce della propria presenza negli autoritratti che costellano la sua carriera fotografica. Utilizza vari espedienti visivi per evocarla: ombre, sagome proiettate, riflessi o riverberi. A seconda della situazione, gioca con questi accorgimenti per affermare sé stessa. Talvolta queste tracce non sono che allusioni, indizi discreti rivolti a chi sa coglierli. Forse sono anche un’affermazione innegabile che il soggetto dell’immagine è lei. In un modo o nell’altro, che si tratti di autorappresentazione o autoritratto, di allusione o dichiarazione d’intenti, Vivian Maier invita lo spettatore a una caccia al tesoro il cui fine rimarrà sempre un enigma.
A differenza di Narciso, che sprofonda nella contemplazione, questo interesse per l’autoritratto ricorda piuttosto una necessaria ricerca d’identità. Ridotta all’invisibilità dal suo status sociale, Maier decide di fissare in modo discreto e silenzioso la prova inconfutabile della sua presenza in un mondo che sembra non lasciarle spazio.


Didascalie:

Autoritratto, Chicagoland, 1975 © Vivian Maier/John Maloof Collection
Chicagoland, 1975 © Vivian Maier/John Maloof Collection
Autoritratto, Chicago, 27 luglio 1971 © Vivian Maier/John Maloof Collection

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