Speciale Città Aperta 2025: PASSEGGIATE ROMANE Valerio Magrelli

Pubblicato il : 30/06/2025 15:06:25

La mostra “Città aperta 2025” è un invito a osservare con attenzione la realtà che ci circonda, a prenderne coscienza e a scoprire, attraverso lo sguardo dei tre fotografi, ciò che della città di Roma è visibile e ciò che resta celato: l’apparente e il nascosto, il tangibile e l’invisibile.

Fulcro del progetto è l’anno giubilare 2025, segnato da eventi inattesi e di portata storica. In sintonia con la propria visione autoriale, Diana BagnoliAlex Majoli e Paolo Pellegrin hanno saputo restituire l’atmosfera unica di questo momento con un approccio intenso e riflessivo.

Ideata da Edith Gabrielli, Direttrice del VIVE – Vittoriano e Palazzo Venezia, e curata da Roberto Koch e Alessandra Mauro, con Suleima Autore, la mostra è ospitata presso la Sala Zanardelli del Vittoriano e sarà aperta al pubblico fino al 28 settembre 2025.

Accanto alle immagini scorre in mostra, su un grande ledwall, un testo inedito di Valerio Magrelli, poeta, saggista e intellettuale tra i più lucidi della scena contemporanea. Di seguito un estratto.



Questo titolo si riferisce a due opere: la prima, Passeggiate romane, è una specie di guida turistica che Stendhal pubblicò nel 1829; la seconda, è il film Vacanze romane di William Wyler, con Audrey Hepburn e Gregory Peck.

Comincio dalla pellicola, nel punto in cui la principessa Anna, in viaggio diplomatico a Roma, ha un collasso nervoso (non è però la Sindrome di Stendhal). Vagabonda per la città, fino a quando incontra un giornalista americano al quale chiede di essere portata al Colosseo. Ebbene, proprio dal Colosseo comincerà la nostra passeggiata, ma da un Colosseo speciale, rivisitato: il Colosseo quadrato, inaugurato nel 1940 in vista di quell'Esposizione Universale di Roma il cui acronimo fu appunto EUR.

Si tratta di un palazzo a quattro facciate con archi a tutto sesto. Il loro numero avrebbe dovuto essere di 77 per facciata (11 in lunghezza e 7 in altezza), finché venne ridotto a 54 (9 in lunghezza e 6 in altezza). Perché? C’è chi sostiene che la scelta celi un messaggio cifrato, dato che il numero degli archi è uguale a quello delle lettere che compongono il nome di Benito (verticale) e Mussolini (orizzontale): un vero cruciverba architettonico.

Resta da esaminare, tuttavia, come è possibile chiamare con lo stesso nome, prima un anfiteatro antico, ossia una costruzione simile a una ciambella, poi un moderno palazzo cubico. A ben vedere, nulla è più diverso di queste due figure: un’ellissi che accoglie al suo interno uno spazio vuoto, e un dado completamente sigillato. Apertura contro chiusura; linee tondeggianti contro linee angolari. Eppure il monumento fascista continua a essere detto il Colosseo quadrato, o anche Palazzo groviera.

 

Non troppo distante da via Cristoforo Colombo (che unisce l’Eur al centro), ci aspetta un'altra versione del Colosseo, anzi, per meglio dire, ci aspettava, perché purtroppo è stata smantellata. Nel 2000, dopo il successo ottenuto dal modello della Basilica di San Pietro, venne rifatto l’Anfiteatro Flavio in scala 1:10 (larghezza m. 31, lunghezza m. 37, altezza m. 10). Materiale? Circa un milione e mezzo di lattine di Coca-Cola. Benché avesse qualcosa di blasfemo, di beffardo, questa ricostruzione dell’antichità emanava una indubbia lezione morale, invitando a riproporre le rovine in forme più moderne. Alluminio colorato. Ricordo bene come, in mezzo al traffico di un quartiere anonimo, squillasse forte la parodia della Roma archeologica.

 

Dopo il Colosseo quadrato e il Colosseo in barattoli, giungiamo a quello vero. Per secoli questo rudere ha affascinato i viaggiatori. Basti ricordare i romanzieri dell'800 che ne restarono stregati. Le reazioni furono le più varie: Herman Melville e Charles Dickens lo detestarono, mentre Henry James e Edgar Allan Poe restarono stupiti dalla sua mole di vite, di trivella che non cerca petrolio, bensì Storia. Per altri, invece, l’Anfiteatro divenne il fulcro, l’emblema, il magnete di un’ossessione visionaria e tellurica. Mentre il suo emiciclo suggerì ai fratelli Goncourt una festosa pista da ballo (festosa: c'è da non crederci), Nathaniel Hawthorne lo immaginò come un tremendo invaso, un imbuto infernale, la fogna capace di raccogliere tutto il sangue versato dai romani “in un grandioso lago sotterraneo, proprio sotto i nostri piedi”.

Didascalie:

© Francesco Di Benedetto

 

Condividi