Sogni e visioni d'Italia di Alessandra Mauro

Pubblicato il : 30/10/2025 14:51:09

Perdersi a guardare raccoglie una serie di fotografie dedicate all’Italia. Immagini uniche, visioni personali, che Mimmo Jodice ha raccolto in trenta anni di vita e di lavoro. Immagine dopo immagine, visione dopo visione. Perché in tutto questo tempo, Jodice ha fotografato a lungo l’Italia. E l’ha fotografata tutta, dalla punta della Sicilia alla cima delle Alpi, grandi città come campagne e piccoli paesi, angoli dimenticati e monumenti celebri, fabbriche dismesse e piazze cittadine. E lo ha fatto per professione e mestiere, certamente, ma anche per un incessante bisogno di guardare e di trovare ogni volta, la ragione del suo essere artista e interprete di un territorio, di tracce umane, di natura, di storia antica, di un presente complesso e contraddittorio. Come se, prendendo la macchina fotografica, fosse stato necessario per lui trovare il giusto punto di osservazione e l’indispensabile sintonia - sempre diversa - per registrare e interpretare le forme dell’incerto equilibrio tra spazio e uomo. Questo continuo esercizio del guardare, libero di perdersi nell’orizzonte ma anche nei meandri della memoria, nutre la trama dei suoi viaggi visivi che in tanti itinerari a volte eccentrici, costruiscono il ritratto multiforme di un’Italia che diventa subito territorio universale.

Jodice ha scoperto la fotografia presto, e subito il suo interesse è diventato ricerca, studio, curiosità. Ha vissuto il periodo delle sperimentazioni concettuali degli anni Sessanta, cercando immediatamente nuovi linguaggi e nuovi codici per esprimersi. Le prime foto raccolte in questo libro datano agli anni Settanta, all’epoca di quelle Figure del Sociale, come sono state chiamate, con cui l’autore, accanto ai lavori d’avanguardia, realizzava un lavoro radicato nel tessuto sociale della sua città. Da subito il suo sguardo ha cercato interrogativi più che risposte tentando semmai di creare non tanto e non solo una documentazione ma una testimonianza.
Sarà negli anni Ottanta e poi ancora Novanta, che il suo lavoro trova la piena maturazione. Proprio del 1980 è Vedute di Napoli: un libro fondamentale. La città finora così densa e piena di figure e di riferimenti, di voci, di drammi agiti e interpretati, di dramatis personae intente a recitare il proprio ruolo, smette i suoi abiti chiassosi. Il silenzio si impossessa dell’ambiente e le foto diventano metafisiche visioni di un luogo dove si incontrano, e prendono corpo, i dubbi e le ansie dell’autore e i segni di un passato che torna ad abitare il presente rendendolo vivo e quasi tormentandolo con la sua forza incombente. Sarà questo approccio personale, lontano da una semplice registrazione giornalistica, a diventare la sua cifra stilistica sempre riconoscibile.
Una lunga osservazione del patrimonio artistico del nostro paese, contestualmente a diversi lavori di committenza e a una serie di importanti e proficui confronti con colleghi fotografi e artisti intorno ai temi del territorio, lo spingeranno sempre più a interrogarsi sul senso e il valore della rappresentazione dello spazio. La bellezza, cercata e inseguita, trovata magari in frammenti archeologici o nella purezza naturale, è fermata dall’obiettivo di Jodice con la malinconica certezza di chi sa che a meno di un passo da quella perfetta visione, da quel gioco di luci che esaltano e vivificano un classicismo che si potrebbe pensare ormai sepolto, regna un caos invadente e contagioso che tutto potrebbe portar via, in un turbine di oblio. Il suo gesto fotografico, che è stato per prima cosa denuncia, ribellione, prova di un malessere chiaro e tangibile, del nervo scoperto in una città ricca di suggestioni ma anche di problemi e drammi, diventa necessaria inversione di senso, nel limite tra un presente che chiede conferme e un passato da interrogare. Dopo quelle di Napoli verranno altre città, verranno altre visioni. E sempre più sarà il silenzio a impossessarsi della scena. Un silenzio pieno di voci che hanno appena smesso il loro cicaleccio, di passi che hanno appena finito di lasciare la propria eco. Un silenzio che sa di storia, e un paradosso: quello di una fotografia dell’invisibile. Chi ha abitato questi luoghi che Jodice fotografa per noi, chi li ha forgiati sedimentando, strato dopo strato, le pietre e il tempo? Il suo diventa un continuo lavoro sull’assenza.
Ma non è una fotografia del ricordo quella che Jodice realizza; anzi, una fotografia del presente. E gli spazi in cui si muove sono i suoi, di oggi, popolati dai timori propri dell’artista contemporaneo che cerca il senso del proprio vivere e delle immagini che produce. Se si è usata la metafora della scena teatrale per descrivere la fotografia di Jodice - una scena che ha appena accolto la rappresentazione -, potremmo proporre una nuova immagine: quella del cinquecentesco teatro della memoria, in cui lo sguardo dello spettatore/creatore non solo mette a fuoco e riordina l’apparato scenografico, ma anche gli oggetti che la memoria deve e vuole ritenere e la loro collocazione all’interno del teatro stesso - collocazione dettata da ragioni magari personali, ma essenziale per poter richiamare alla memoria il nome, la funzione e il significato delle cose. E proprio il nome, la funzione e il significato delle cose - siano statue, visi, ambienti, alberi, spiagge, fabbriche, insomma tracce di umanità - vengono da Jodice sempre richiamati, risistemati, cambiati e ricomposti in una nuova scena e secondo un senso diverso dall’usuale che lui ci invita a seguire. Un senso straniante che indica come realtà percettiva e visione non sempre coincidano.

Perdersi a guardare raccoglie quindi le diverse tappe, come altrettante “stanze”, delle lunghe peregrinazioni che Jodice ha compiuto in Italia alla ricerca di una nuova possibilità visiva. E il libro è nato così, dalla coscienza che questo materiale rap presenti un unicum incredibile per forza e coerenza. Come se l’autore, a un certo punto della sua vita, si fosse fermato e, voltandosi indietro, avesse compreso, for se stupito, che il senso di tanto girovagare in lungo e in largo nel nostro paese in anni di lavoro fotografico, costituiva la sua personale testimonianza di viaggiatore eccellente, in grado di raccontare la profonda e intima poesia di un paese, spesso nascosta negli occhi di chi guarda. Un bianco e nero essenziale, una pulizia dell’immagine straordinaria, una capacità di sorprendersi e fermarsi, nel vagare dello sguardo, su momenti e situazioni che potrebbero sembrare surreali se non fossero invece segni di quella nuova semantica che Jodice ci offre come chiave per potere, anche noi, guardare e riguardare il nostro stesso territorio interrogandolo. Ogni immagine diventa quindi una visione personale ma anche una veduta, nel senso proprio di rappresentazione dettagliata di un paesaggio, urbano o naturale, da comprendere. E se realtà e visone non sempre coincidono, forse invece a combaciare saranno il sogno e la visione di una Italia che si vorrebbe diversa, che si ama con struggente passione, che si continua a osservare senza stancarsi mai e senza, soprattutto, mai riuscire ad abbandonarla.
Abbiamo scelto proprio la chiave del sogno per sistemare, una dopo l’altra, le visioni d’Italia di Mimmo Jodice. Sei diversi percorsi propongono, con indispensabile arbitrarietà, sequenze di immagini, scorci e paesaggi, uniti da un continuo gioco di rimandi, di particolari che si inanellano l’uno dopo l’altro creando nuovi tracciati. I percorsi non sono geografici ma sono quelli della mente, dello sguardo, della me moria, delle libere associazioni che, grazie a un dettaglio, ci portano da Napoli alla via Emilia, e poi a Biella e poi a Napoli di nuovo. Oppure da Torino a Rimini, poi a Milano e poi, inevitabilmente, ancora a Napoli. Ognuno di questi sei “sogni di sogni”, comincia con un’apertura: una porta che ci immette direttamente nel flusso onirico e visivo di questa Italia bella e fragile, e nei resti di un passato che è qui, forma e sostanza del nostro presente. Il sogno è diventato allora la metafora, il pretesto e la guida per sistemare le immagini preservando tuttavia, per ognuna, la grandezza e la magia visiva che questa racchiude. Perché è la capacità visionaria, alta e lirica, a rendere unico il percorso artistico di Jodice in questi anni - limpido e cristallino come altri mai. Il suo forte valore di testimonianza, di interpretazione di un passato vivo, di continuo interrogarsi su un presente complesso e un futuro che non può non tenere conto della necessità urgente, anzi viscerale, di un gesto artistico per affermare la propria esistenza.

 

E il valore del sogno per la conoscenza del futuro? Naturalmente, non è il caso di pensarci. Si vorrebbe inserire in sua vece: per la conoscenza del passato. Poiché è dal passato che deriva il sogno, in ogni senso. è vero, anche l’antica credenza che il sogno ci mostri il futuro, non è completamente priva di fondamento in verità. Rappresentandoci un desiderio come appagato, il sogno ci porta verso il futuro; ma questo futuro, considerato dal sognatore come presente, è modellato dal desiderio indistruttibile a immagine di quel passato.

S. Freud, L’interpretazione dei sogni

Condividi