Messa a fuoco SEBASTIÃO SALGADO. GHIACCIAI
Pubblicato il : 16/04/2025 15:23:06
Dopo l’imponente progetto “Genesis”, dedicato alle regioni più remote del pianeta per testimoniare la maestosa bellezza di mondi in cui natura, animali ed esseri viventi vivono ancora in equilibrio con l’’ambiente, con il successivo progetto “Amazônia” Salgado ha intrapreso una serie di viaggi per catturare l’incredibile ricchezza e varietà della foresta amazzonica brasiliana e i modi di vita dei suoi popoli, stabilendosi nei loro villaggi per diverse settimane.
Con Ghiacciai, Sebastião Salgado cattura la bellezza mozzafiato delle masse glaciali in una galleria di immagini esclusive, in gran parte inedite, selezionate per questa occasione.
Dalla Penisola Antartica al Canada, dalla Patagonia all’Himalaya, dalla Georgia del Sud alla Russia, le fotografie ritraggono, in un bianco e nero ricco di contrasti, alcuni dei luoghi più studiati da ricercatori che indagano la storia geologica della Terra, così come le conseguenze a breve e lungo termine della crisi climatica e del riscaldamento globale.
Proponendo al grande pubblico uno dei soggetti prediletti e meno conosciuti di Salgado, la mostra è un nuovo tributo visivo con il quale l’artista invita ancora una volta a riflettere sulla vita, sulla salvaguardia degli ecosistemi, sui comportamenti rispettosi e consapevoli.
Tre grandi istituzioni culturali trentine presentano Ghiacciai, l’ultimo progetto di Sebastião Salgado. Tra Rovereto e Trento, dal Museo di Arte al Museo di Scienze, oltre 60 fotografie in grande e grandissimo formato costituiscono una mostra-manifesto che celebra i ghiacciai del mondo nell’anno a loro dedicato. Con l’obiettivo di sensibilizzare la società sul ruolo essenziale nel sistema climatico e idrologico globale, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 2025 Anno Internazionale della Conservazione dei Ghiacciai.
Nata da un’idea del Trento Film Festival, la mostra è a cura di Lélia Wanick Salgado ed è prodotta in collaborazione con Contrasto e Studio Salgado, con il coordinamento di Gabriele Lorenzoni (Mart) e Luca Scoz (MUSE).
Dal 12 aprile al 21 settembre 2025 al Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Rovereto e dal 12 aprile al all’11 gennaio 2026 al Muse – Museo delle Scienze di Trento.
Di seguito vi proponiamo il testo della scienziata e divulgatrice Elisa Palazzi, docente di Fisica del clima all'Università di Torino, che fa da introduzione al catalogo che accompagna la mostra, edito da Contrasto.
Ghiacciai: sensori naturali del clima che cambia
di Elisa Palazzi
I ghiacciai si formano dove la neve, soffice e leggera, si accumula durante la stagione fredda e umida senza fondere totalmente nel corso della stagione calda e secca, andando incontro, negli anni, a una serie di trasformazioni. Prima si accumula, strato su strato, aumentando gradualmente la sua densità, poi si trasforma in una neve più vecchia, granulare, fortemente compattata chiamata “nevato”, e infine diventa ghiaccio di ghiacciaio. In montagna tali processi avvengono nella cosiddetta “zona di accumulo” del ghiacciaio, in alta quota, da dove il ghiaccio inizia il suo lento movimento verso le zone a più bassa quota, dette di “ablazione”, in cui può andare incontro a fusione. Il movimento del ghiacciaio – un lento scorrere dalla zona di accumulo a quella di ablazione spinto dalla forza del suo peso – è segno che il ghiacciaio è vivo. È vivo, perché si muove. Il passaggio dalla zona di accumulo a quella di ablazione corrisponde a una linea immaginaria, chiamata “linea di equilibrio del ghiacciaio”, dove il bilancio fra l’accumulo di ghiaccio a quote più elevate e la sua perdita a quote più basse è pari a zero.
È proprio quanto accaduto, ad esempio, al ghiacciaio islandese Okjökull, di cui si è celebrato il funerale il 18 agosto 2019. Nel 2019, di Okjökull, in cima al vulcano Ok, era rimasta solo una piccola chiazza di ghiaccio di estensione pari al 7% rispetto a quella di cento anni prima. Quel ghiacciaio, tuttavia, era stato ufficialmente dichiarato morto già qualche anno prima, nel 2014, quando si era talmente assottigliato da non riuscire a muoversi; la sua massa non era abbastanza grande da alimentare la dinamica del ghiacciaio. Un altro indicatore dello stato di salute di un ghiacciaio è la variazione della quota a cui si trova la sua linea di equilibrio. In un clima più caldo, come è facile immaginare, la linea migra verso le quote più elevate, a indicare che la zona dove un ghiacciaio può crescere, nutrito dalle nevicate nella stagione fredda, si riduce.
Un terzo, importantissimo, motivo, soprattutto per chi come me studia il clima terrestre, è che i ghiacciai sono archivi climatici estremamente preziosi. Consentono di ricostruire l’evoluzione del clima passato andando a ritroso di centinaia di migliaia di anni. Se infatti si estrae un cilindro di ghiaccio – le famose carote – dalle zone dove ce n’è in abbondanza, come l’Antartide, è possibile riconoscere degli strati che corrispondono all’accumulo della neve e alla sua compattazione anno dopo anno. Nel processo di trasformazione della neve in ghiaccio restano intrappolate bolle d’aria, sostanze organiche (pollini, frammenti vegetali, insetti) e inorganiche (polveri, fuliggine, inquinanti) che possono diventare, a distanza di anni – anche centinaia di migliaia – preziosi strumenti per risalire alle caratteristiche del clima del passato. Le bolle, ad esempio, vengono analizzate per risalire alle concentrazioni di gas serra nell’aria fossile, attraverso specifici metodi e tecniche di datazione. Tracce di una storia di cui non abbiamo altra possibile memoria e che permettono di (ri)leggere, mettendolo in prospettiva, anche il clima attuale e comprenderne le specificità, oltre che fornire dati per migliorare i modelli che forniscono le proiezioni future.
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La loro rapidissima recente fusione testimonia che il mondo si sta scaldando con una velocità mai vista prima[1]. Uno studio del 2021[2] ha evidenziato che, dagli anni Ottanta a oggi, sulla spinta del riscaldamento globale, la criosfera ha perso ogni anno una superficie di circa 87.000 chilometri quadrati (come il Portogallo). Sono sparite estese porzioni di superficie di ghiaccio marino, di copertura ghiacciata di laghi e fiumi, di manto nevoso. Anche la neve è un sensore naturale del clima che cambia.
Un mondo più caldo è sicuramente un mondo con meno neve e con una copertura di neve al suolo la cui durata, estensione e spessore diminuiscono. Senza una coltre nevosa che fa da isolante termico, il suolo montano rischia di congelare, portando a un’alterazione del ciclo degli elementi nutritivi che si protrae fino all’estate, con effetti a catena sull’ecosistema.
Se manca la neve in inverno, in montagna, non è garantita la riserva che, fondendo nella stagione calda, alimenta fiumi e torrenti e porta acqua a valle. Se non c’è neve in inverno, i ghiacciai non hanno uno strato protettivo sopra la loro superficie, che li protegge dalla fusione nella stagione calda. Alcuni studi[3] mostrano che entro la fine del 2100 l’equivalente in acqua della neve (un parametro che dipende dallo spessore e dalla densità della neve, utile per avere una misura della quantità di neve caduta, ma anche di quanta acqua potenzialmente questa neve contiene, pronta all’uso) sulle Alpi si ridurrà tra l’80 e il 90%, attorno ai 1.500 metri di quota; a quote superiori la riduzione sarà minore, circa il 10%.
[1] Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), Climate Change 2021 – The Physical Science Basis: Working Group I Contribution to the Sixth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, Cambridge University Press, Cambridge (UK) e New York (USA), 2023, disponibile online al sito https://bit.ly/43vHeb5.
[2] Peng Xiaoqing, Zhang Tingjun, Oliver W. Frauenfeld, Ran Du, Haodong Jin, Cuicui Mu, A Holistic Assessment of 1979-2016 Global Cryospheric Extent, in Earth’s Future, vol. 9, n. 8, 2021, disponibile online al sito https://bit.ly/4bCF8Iy.
[3] Silvia Terzago, Jost von Hardenberg, Elisa Palazzi, Antonello Provenzale, Snow Water Equivalent in the Alps as Seen by Gridded Data Sets, CMIP5 and CORDEX Climate Models, in The Cryosphere, vol. 11, n. 4, 2017, pp. 1625-1645, disponibile online al sito https://bit.ly/3FhXBhD.
[4] Manja Zebre, Renato R. Colucci, Filippo Giorgi, Neil F. Glasser, Adina E. Racoviteanu, Costanza Del Gobbo, 200 years of equilibrium-line altitude variability across the European Alps (1901-2100), in Clim Dyn, n. 56, 2020, pp. 1183-1201, disponibile online al sito https://bit.ly/4ihltQP.
Didascalie:
© Mart, Jacopo Salvi, 2025