Messa a fuoco Sebastião Salgado. Exodus – Umanità in cammino

Pubblicato il : 25/03/2024 17:08:29

Il 21 marzo al MAR Museo d’Arte della città di Ravenna ha inaugurato la grande mostra di Sebastião Salgado. Exodus – Umanità in cammino, organizzata dal Comune di Ravenna – Assessorato alla Cultura e Mosaico e Assessorato all’ Immigrazione, Politiche e Cultura di Genere – in collaborazione con Contrasto e grazie al contributo della Regione Emilia-Romagna, Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Fondazione Cittalia Anci. Le opere in mostra sono accompagnate da alcuni testi che offrono una prospettiva preziosa e contribuiscono ad arricchire l'immersione dei visitatori nel percorso espositivo.


INTRODUZIONE
È passata quasi una generazione da quando queste fotografie sono state esposte per la prima volta. Eppure, per molti aspetti il mondo che ritraggono è cambiato poco, visto che la povertà, i disastri naturali, la violenza e la guerra costringono ancora milioni di persone ogni anno ad abbandonare le loro case. In alcuni casi, vanno a finire in campi profughi che presto si espandono fino a diventare piccole città; in altri, sono pronti a investire tutti i risparmi, e perfino la vita, per inseguire il sogno di una mitica Terra Promessa. I migranti e i profughi di oggi sono senza dubbio il prodotto di nuove crisi, ma la disperazione e i barlumi di speranza che vediamo sui loro volti non sono poi molto diversi da quelli documentati in queste immagini.
Quasi tutto ciò che accade sulla Terra è in qualche modo collegato. Siamo tutti colpiti dal crescente divario tra ricchi e poveri, dalla crescita demografica, dalla meccanizzazione dell’agricoltura, dalla distruzione dell’ambiente, dal fanatismo sfruttato a fini politici. Le persone strappate dalle loro case sono solo le vittime più visibili di un processo globale.
Le fotografie che qui presentiamo catturano i momenti tragici, drammatici ed eroici di singoli individui. Eppure, tutte insieme, ci raccontano anche la storia del nostro tempo. Non offrono risposte, ma al contrario pongono una domanda: nel nostro cammino verso il futuro non stiamo forse lasciando indietro gran parte del genere umano?
 
Lélia Wanick Salgado
Curatrice

 
MIGRANTI E PROFUGHI: L’INSTINTO DI SOPRAVVIVENZA
In molti casi, i migranti lasciano le loro case pieni di speranza; i profughi di solito sono spinti dalla paura, ma in modi diversi sono tutti ugualmente vittime di fattori che sfuggono al loro controllo: la povertà e la violenza.
La maggior parte dei migranti del Terzo Mondo si dirige verso le città, ma per tutti la meta più ambita sono gli Stati Uniti e l’Europa.
Anche se i loro viaggi sono lunghi e irti di pericoli, per i popoli che emigrano – come i messicani, i marocchini, i vietnamiti, i russi e molti altri – il sogno di una vita migliore non è facile da reprimere. Molti diventano profughi contro il loro stesso volere. Le guerre hanno sradicato curdi, afghani, bosniaci, serbi e kosovari e come i palestinesi, che hanno trascorso decenni interi nei campi profughi, anche questi popoli spesso desiderano tornare a casa.
Per alcuni, però, la rottura con il passato è permanente: da profughi diventano esuli e da esuli anche loro diventano migranti.
 
 
L’AMERICA LATINA: ESODO RURALE, DISORDINE URBANO
La storia recente dell’America Latina è stata segnata dalla migrazione di decine di milioni di contadini verso le aree urbane. La maggior parte di loro è stata spinta dalla povertà, perché i migliori terreni agricoli sono concentrati nelle mani di una ricca minoranza. Alcuni rifiutano di arrendersi: gli amerindi dell'Amazzonia lottano per restare aggrappati alla loro terra tribale; i ribelli zapatisti combattono per recuperare le terre perdute nel Messico meridionale; il movimento brasiliano dei “senza terra” osa provare a impossessarsi delle proprietà private nonostante la dura repressione.
Ma per la maggior parte di loro si tratta di una battaglia persa: i villaggi montani dell'Ecuador sono popolati quasi esclusivamente da donne e bambini perché gli uomini sono emigrati. E il risultato sono le metropoli sempre più smisurate e ingestibili, come Città del Messico e San Paolo, circondate da baraccopoli affollate di migranti, dove persino la vita privilegiata è assediata dalla violenza urbana.
 
 
LA TRAGEDIA AFRICANA: UN CONTINENTE ALLA DERIVA
L'Africa ha vissuto il trauma della sofferenza e della disperazione. Il suo popolo è stato profondamente segnato dalla povertà, dalla fame, dalla corruzione, dal dispotismo e dalla guerra. Negli ultimi trent'anni la situazione in linea di massima è peggiorata. Il Mozambico è un'eccezione: la guerra civile, durata decenni, è finalmente terminata e centinaia di migliaia di rifugiati hanno potuto far ritorno a casa.
Ma le guerre continuano a devastare l'Angola e il Sudan del Sud, costringendo milioni di persone a fuggire. A volte sembra che gli Stati Uniti e l'Europa abbiano condannato l'Africa a non avere una possibile salvezza. Di certo hanno fatto ben poco per fermare il genocidio in Ruanda nel 1994, in cui si stima sia morto un milione di Tutsi. I problemi del Ruanda si sono poi riversati nello Zaire, con centinaia di migliaia di rifugiati Hutu diventati le nuove vittime della politica etnica dell'Africa centrale.
 
 
 
ASIA: IL NUOVO VOLTO URBANO DEL MONDO
La fuga dalla povertà rurale ha dato all'Asia un nuovo profilo urbano. Per i contadini dello stato del Bihar in India, per gli agricoltori sull'isola filippina di Mindanao, per i pescatori in Vietnam, le città sono diventate come magneti irresistibili. Dal Cairo a Shanghai, da Istanbul a Giacarta, da Bombay a Manila, la migrazione (accresciuta dagli alti tassi di natalità) ha generato megalopoli della portata di Città del Messico e San Paolo. In Asia, tuttavia, il cambiamento è arrivato ancora più all'improvviso, con le immense baraccopoli e i nuovi sfarzosi centri finanziari comparsi quasi in contemporanea. Shanghai è solo una delle città che, in appena un decennio, hanno cambiato la loro fisionomia fino a diventare irriconoscibili. Le condizioni di vita dei migranti più recenti sono precarie, eppure la maggior parte di loro crede di aver fatto un passo verso una vita migliore.
 
 
RITRATTI
I bambini qui fotografati sono rappresentativi di altre decine di milioni che si possono incontrare nelle baraccopoli, nei campi profughi e negli insediamenti rurali di America Latina, Africa, Asia ed Europa. In questo senso sono stati scelti in modo casuale. Ma sono anche orgogliosi della loro individualità, perché in realtà hanno scelto loro di essere fotografati.
Un bel giorno hanno incontrato uno straniero con la macchina fotografica al collo e questa novità li ha fatti saltare dalla gioia. Perché gli consentissero di lavorare in pace, il fotografo li invitò a disporsi in fila indiana e mettersi in posa. All’improvviso il loro comportamento è cambiato. Uno dopo l’altro hanno affrontato la macchina fotografica e deciso come dovevano essere immortalati.
In ogni situazione di crisi i bambini sono le maggiori vittime. Senza alcun controllo sul loro destino, sono innocenti per definizione. E se le loro storie corrispondono a quelle dei genitori, finiscono per provare e raccontare la propria vita ognuno a modo suo. Gli abiti, le pose, le espressioni, gli occhi comunicano tristezza e sofferenza ma, a volte, anche allegria e speranza. O almeno così ci sembra.
A dire la verità, possiamo solo azzardare quale sia il loro stato d’animo. Ma almeno possiamo vederli come hanno deciso di mostrarsi. Nell’ambito della singola foto, sono soli. E forse per la prima volta nella loro giovane vite, sono nella condizione di dire “Ci sono anch’io”.

 

 

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