Messa a fuoco NON MANGIO NIENTE CHE ABBIA GLI OCCHI Goffredo Fofi

Pubblicato il : 22/07/2025 16:25:12

Critico letterario e cinematografico, saggista, intellettuale, Goffredo Fofi è stato un punto di riferimento per più generazioni. In Non mangio niente che abbia gli occhi (2022), Fofi condivide, con fare autobiografico, le sue riflessioni sul vegetarianismo, da lui concepito come un atto di consapevolezza e responsabilità. 

Fofi ricostruisce le tracce del suo cammino, ricordando le motivazioni che lo hanno spinto e i testi che lo hanno accompagnato: «Pur non essendo un teorico o un esperto della materia ma semplicemente un uomo che si è posto delle domande, ho deciso di raccontare la mia esperienza, di ripercorrere il mio passato e di riandare alle letture che maggiormente mi hanno accompagnato in questo cammino e mi hanno convinto delle scelte da intraprendere, in nome di un bisogno di responsabilità  che sento forte e preciso. La responsabilità che tutti dovremmo avere».

Di seguito l’introduzione al libro, scritta dallo stesso Goffredo Fofi.



Una coscienza ecologica dovrebbe imporre oggi la pratica del vegetarianesimo – che è peraltro gratificante sotto tanti e vari aspetti – a tutti coloro che credono fermamente nella necessità di rispettare la natura, il vivente, in un’epoca che minaccia di essere l’ultima per il genere umano, artefice della sua stessa rovina.
Una nuova e più tragica visione della condizione umana – e delle nostre comuni colpe, legate infine alla vittoria, nel corso dei secoli, sull’istinto della solidarietà da parte dell’egoismo individuale e dell’istinto di specie – impone una nuova coscienza del nostro posto nella natura, nel mondo. Delle nostre responsabilità. Non è certamente questa l’unica questione da ridiscutere, su cui imporci e imporre una nuova coscienza della nostra condizione e della nostra comune appartenenza, e delle responsabilità che ne conseguono. C’è l’economia (il potere della finanza, il trionfo del capitale) e c’è la cultura – l’era del narcisismo, e di internet suo strumento di pseudo-comunicazione.
Ma la scelta vegetariana non è una questione secondaria, e va collocata all’interno di una revisione a vasto raggio, razionale e morale (ora o mai più...), di un nostro cosciente rapporto con la natura che riguarda immediatamente anche il nostro rapporto, né più né meno, con la vita. La vita nostra e dei nostri cari, la vita dei nostri simili ma anche del pianeta Terra e dei suoi abitanti, animali (noi tra loro) e vegetali.
Vivere (e sopravvivere) nella “aiuola che ci fa così feroci” vuol dire ridiscutere a fondo le responsabilità di ciascuno e di tutti verso i nostri prossimi, ma considerando come prossimo anche gli animali, anche le piante, ricordando per esempio Francesco d’Assisi ma tenendo ben presente la lezione di Darwin. La morale deve guidare, e la scienza servirla, e non ricattarla al fine di opprimerla. C’è assolutamente da dubitare che questo possa avvenire, ma non resterebbe allora, ai coscienti, che aspettare la fine, cercando tuttavia di non darle una mano, di non esserne complici anche se fino a oggi lo siamo stati.
E avremmo dovuto agire in questo senso, senza dubitare, appunto, e seguire invece quanti, i più lucidi tra noi, hanno da sempre cercato di metterci in guardia, avvertendoci degli immani rischi che correvamo e che provocavamo, a danno non solo e non tanto di noi stessi, ma dei nostri figli ed eredi. E di quella parte dell’umanità che non aveva e non ha le stesse possibilità che noi abbiamo di sapere, di giudicare, di intervenire, di produrre i cambiamenti indispensabili; di cercare e trovare una nuova strada, anche se con obiettivi antichi e non rispettati.
In passato, dire che si era vegetariani provocava sorrisi di scherno, ora benevoli e ora malevoli. Strana gente, stravaganti come le zitelle inglesi che scendevano a sud in qualche occasione turistica... poco comprensibili in un paese che aveva cominciato a uscire da poco, nella sua parte maggiore, dai morsi della scarsità. Eravamo rari ma, oso dire, avevamo motivazioni assai forti, anche in ragione del nostro essere così assolutamente minoritari, e il fondamento delle nostre motivazioni stava ben più che in una coscienza ecologia come in un’ispirazione (e tradizione) etica o religiosa. Tolstoj, Gandhi, Martinetti, Capitini, Martucci, Dolci e quei pochi quaccheri che ci capitava di incontrare a Roma intorno alla cara miss Wood erano i nostri punti di riferimento, poco considerati dalla cultura corrente anche la più avanzata e la più nuova. E il collegamento era immediato alla nonviolenza ben più che all’ecologia, ed era tuttavia più che sufficiente a confermarci nelle nostre convinzioni e nella nostra scelta, preparandoci per primi o quasi a una nuova e più vasta collocazione delle nostre opzioni all’interno di una nuova coscienza ecologica, non solo religiosa, come era in alcuni, o semplicemente generosa come era in altri. Non è, ovviamente, che l’opzione che chiamiamo religiosa – genericamente alcuni e specificamente altri – sia scomparsa dalle nostre motivazioni, ma a essa si è aggiunta una coscienza nuova e impellente, che vede il destino degli animali, la “condizione animale”, più strettamente legati alla condizione umana.
L’uomo si è fatto re della natura esercitando violenza, e di questo porta lo stigma e a questo deve porre rimedio, tanto più perché, esercitando violenza, ha finito per mettere in forse la sua stessa sopravvivenza. Il vegetarianesimo (o vegetarismo, come lo si chiamava un tempo assai correttamente) non è più, dunque, una scelta di “anime belle” ma è perfino, oggi, un dovere impellente, una necessità collettiva. Non è solo per amore delle creature che si diventa vegetariani, e tanto meno per sentirsi orgogliosamente buoni e migliori, ma per necessità storica, perché la storia lo richiede, lo esige. Ridurre la violenza più che sia possibile, sulla natura e i suoi abitanti, è tanto più indispensabile in quanto lo scenario presente ci rende sempre più spaventati dalle prospettive di un futuro di nuova e irrimediabile scarsità e di enorme e incontrollata violenza. E d’altronde questi ultimi, ultimissimi tempi ci hanno mostrato assai chiaramente cosa ci aspetta se non si cambia subito rotta: uno scenario angosciante di pandemia e, insieme, con più rapidità di quanto non prevedessimo, di guerra – alle porte d’Europa, vicinissimo a noi. Un legame tra queste due cose, pandemia e guerra, c’è e sta nel controllo delle fonti energetiche; oggi del petrolio ma ben presto anche dell’acqua e dell’aria che respiriamo...
Le due spinte si intrecciano, quella che possiamo genericamente definire “religiosa” o “umanitaria” – non fosse che riguarda gli animali, ma non solo loro, anche se a partire da loro – e quella “politica”, quella di una responsabile concretezza che è anche economica e sociale nonché pedagogica, di proposta e di azione – se non è davvero troppo tardi – per salvare il salvabile. Per un futuro vivibile per chi viene dopo di noi, per un nuovo equilibrio tra gli esseri viventi. Uomini, animali, piante.
Questo libro non è un trattato scientifico, non è un manifesto programmatico, non è ovviamente un racconto di finzione. È un tentativo di condividere un cammino, quello mio personale, che mi ha portato nel tempo a operare una scelta non solo alimentare e igienica naturalmente, ma etica e politica, e oggi ecologica. E a seguirla poi negli anni con convinzione e forza.
La scelta è maturata, come sempre avviene, grazie alle esperienze personali, alle letture, alle riflessioni che nel tempo si sono precisate intorno ai ricordi della mia infanzia, agli incontri con amici e maestri e alle voci dei molti autori che su questo argomento si sono a loro volta interrogati. Il mio è stato forse un percorso eccentrico, che rivendico però pienamente. Pur non essendo un teorico o un esperto della materia ma semplicemente un uomo che si è posto delle domande, ho deciso di raccontare la mia esperienza, di ripercorrere il mio passato e di riandare alle letture che maggiormente mi hanno accompagnato in questo cammino e mi hanno convinto delle scelte da intraprendere, in nome di un bisogno di responsabilità che sento forte e preciso.
La responsabilità che tutti dovremmo avere, cittadini per prima cosa, educatori e operatori della cultura poi, di affermare delle ragioni, quando queste ci persuadono della loro efficacia e importanza. Ecco, quelle che seguono sono le mie ragioni di vegetariano.

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