Messa a fuoco LE MOLTE VITE DI LEE MILLER di Antony Penrose
Pubblicato il : 20/03/2025 12:31:57
Le molte vite di Lee Miller (Contrasto) è il libro da cui è tratto il film Lee Miller, uscito nelle sale italiane il 13 marzo 2025. La regia è affidata alla statunitense Ellen Kuras mentre è Kate Winslet a vestire i panni della famosa fotografa e modella.
In realtà, Lee Miller (1907-1977) ha davvero vissuto molte vite, aperto e chiuso tante porte, trascorso molte stagioni diverse: è stata una modella di successo, tra le prime a inaugurare una nuova figura di donna del Novecento, affascinante, libera e determinata; una fotografa surrealista nella Parigi degli anni Trenta; una corrispondente durante la Seconda guerra mondiale, documentando con forza e lucidità la tragedia del conflitto e gli orrori dei campi di concentramento. Ma è stata anche un’instancabile viaggiatrice, attratta sempre da nuove avventure da vivere, una grande cuoca e anche una perfetta padrona di casa, che accoglieva con sapienza amici come Picasso o Man Ray.
Su questi molteplici aspetti della figura di Lee Miller si concentra anche il film, attualmente in sala, ma soprattutto analizza gli anni della Guerra dal punto di vista unico di questa grande fotografa.
Perciò, vi proponiamo di seguito un estratto del nostro libro che racconta come, alla fine del conflitto, Lee Miller sia arrivata a farsi scattare una delle fotografie più provocatorie del Novecento, ovvero quella che la ritrae nuda all'interno della vasca da bagno di Hitler.
Su questi molteplici aspetti della figura di Lee Miller si concentra anche il film, attualmente in sala, ma soprattutto analizza gli anni della Guerra dal punto di vista unico di questa grande fotografa.
Perciò, vi proponiamo di seguito un estratto del nostro libro che racconta come, alla fine del conflitto, Lee Miller sia arrivata a farsi scattare una delle fotografie più provocatorie del Novecento, ovvero quella che la ritrae nuda all'interno della vasca da bagno di Hitler.
L’odore, quell’orribile e nauseante fetore, è ciò che rimane più impresso nella memoria di quanti partecipano alla liberazione dei campi. Ricorderanno tutti quanto l’odore fosse quasi tangibile e come sentissero che non se ne sarebbero più liberati per il resto della vita. E poi le cataste di corpi. L’età o il genere non ha risparmiato nessuno, è stato solo un vago criterio per suddividere le pile: gli uomini là, le donne e bambini qui. I tedeschi non sono riusciti a occultare le prove della fame e dello sterminio di massa perché il combustibile dei forni crematori è finito già da cinque giorni. Enormi spiazzi sono occupati da morti e moribondi, per i quali non può esserci alcun conforto mentre giacciono nei miasmi di escrementi e vomito. Ogni possibile malattia, dal colera al tifo, è stato dilagante e mortale, per questi corpi così denutriti.
Il campo è collegato al mondo dalla linea ferroviaria su cui sono arrivati i prigionieri, un viaggio certo di sola andata. Alcuni treni merci e carri bestiame erano troppo lunghi per entrare nel campo e si fermavano fuori. Ai lati dei binari ci sono ancora i corpi di chi è morto durante quell’ultima corsa, eppure la popolazione civile della città afferma di non aver avuto idea di quale fosse la funzione del campo.
Il senso di indignazione che infiamma Lee la spinge a fotografare. “TI IMPLORO DI CREDERE CHE È TUTTO VERO”, scriverà a Audrey Withers, impaziente di mettere il mondo di fronte a questa atrocità.
I prigionieri sono incantati dalla sua presenza. L’ampia uniforme da combattimento che indossa è stata disegnata per distogliere l’attenzione dal suo genere, ma il rossetto e le ciocche di capelli biondi la tradiscono. La guardano con stupore e ammirazione. Quando si ricorda di avere in tasca del cioccolato della razione K, Lee lo offre incautamente agli ex prigionieri. Sarà Dave a tirarla fuori dalla mischia che ne segue, e da quel momento rimarranno vicini. In una delle baracche decidono di fotografare una branda vuota, ma tutti gli spazi sono occupati da malati cronici. Due prigionieri con cui sono entrati in confidenza cercano nella baracca, finché non trovano una persona appena morta e tirano fuori il cadavere per esporre il suo duro giaciglio. Restano per un momento a testa china, in preghiera, e poi invitano Dave e Lee a scattare la foto.
I comandanti americani reagiscono prontamente alla vista di Dachau. Inviano dei camion a Monaco e grandi quantità di vestiti e biancheria raggiungono presto il campo. Tutte le forniture mediche e i letti d’ospedale a disposizione vengono requisiti, ma per il cibo la questione è differente. Gli stomaci di molti prigionieri si sono ristretti al punto da poter sostenere solo piccole quantità di zuppa; qualunque alimento più sostanzioso induce violenti conati di vomito e a volte la morte.
Quella notte, a Monaco, Lee e Dave trovano alloggio presso il posto di comando della 45a Divisione in Prinzregentenplatz 27. Si tratta di un vecchio edificio all’angolo, senza tracce evidenti che qualcuno più altolocato di un commerciante o un ecclesiastico in pensione vi abbia vissuto, eppure sarà lo scenario di uno dei più grandi scoop di Lee e Dave. L’impressione di banale ordinarietà prosegue all’interno, con arredi e decorazioni che potevano appartenere a chiunque con un reddito modesto e nessun patrimonio di famiglia alle spalle. Solo la svastica e il monogramma “A.H.” sull’argenteria rivelano che si tratta in realtà della casa di Hitler. In questo ambiente banale il leader del Terzo Reich ha vissuto e conferito con Chamberlain, Franco, Mussolini, Goebbels, Göring, Laval e molti altri.
L’elaborato centralino telefonico nell’appartamento dell’assistente, accanto al loro, è ancora collegato, così Lee e Dave si rivolgono a un ufficiale americano che parla tedesco, il tenente colonnello Grace, e gli chiedono di chiamare l’operatore, che si trova in un’altra zona della città ancora nelle mani dei tedeschi. Sperando in una dichiarazione del Führer, Grace chiede di essere collegato con Berchtesgaden, la cittadina in cui Hitler ha fatto costruire la sua residenza estiva, il Berghof. Il telefono squilla e una voce all’altro capo risponde ma, non sentendo pronunciare la giusta parola d’ordine, interrompe immediatamente la chiamata, e il centralino smette di funzionare.
Il primo pensiero di Lee è entrare nell’ampia vasca per godersi il suo primo bagno dopo settimane. Dave la fotografa, con gli stivali sporchi di fango abbandonati sul tappetino del bagno. Più tardi metteranno in scena una foto sarcastica che mostra un soldato sdraiato sul letto di Hitler, mentre legge il Mein Kampf e parla al telefono da campo. La foto finisce a tutta pagina su Life e segnerà uno dei momenti di maggiore notorietà nella carriera di Dave. Lee si porta via come souvenir alcuni volumi autografati del Mein Kampf, lettere di ringraziamento a Frau Winter – la governante di Hitler – e una gran quantità di ammennicoli, tra cui una fotografia di Hitler che farà firmare a tutti i soldati del posto di comando.
A circa tre isolati di distanza, in Wasserburgerstrasse 12, si trova la villetta squadrata dell’amante di Hitler, Eva Braun. Le piccole stanze sono arredate in modo rigoroso e impersonale, come se tutto fosse stato acquistato nello stesso grande magazzino. Solo il bagno rivela la personalità della proprietaria: gli scaffali sono pieni di medicine sufficienti – dirà Lee – per “un intero reparto di ipocondriaci”. Scriverà anche: “Ho fatto un pisolino sul suo letto. Era comodo ma macabro sonnecchiare sul cuscino di una ragazza e di un uomo che erano morti, ed essere contenta che lo fossero, se davvero era così”.