Ingranditore MIMMO JODICE. L’ENIGMA DELLA LUCE

Pubblicato il : 17/04/2025 11:19:40

Mimmo Jodice è un viaggiatore incantato. Non scatena subito la fotocamera, ma attende il manifestarsi della meraviglia, del mondo, di quell’inarrestabile energia umana che dà un’impronta alle cose, una forma agli oggetti, agli edifici, agli spazi architettonici che sopravvivono attraverso il tempo, anni e secoli dopo la scomparsa degli uomini. Per Jodice la fotografia può rappresentare senza limitarsi a documentare, ed è per questo che le sue immagini sono come antichi oracoli sibillini.

Fino al 4 novembre 2025 Udine ospita la mostra “Mimmo Jodice. L’enigma della luce". Con un suggestivo allestimento all’interno del Salone del Parlamento e di tre sale della Galleria d’Arte Antica, nel cuore del Castello di Udine, la mostra offre ai visitatori un’immersione totale nella fotografia di uno dei più grandi maestri dell’arte visiva contemporanea italiana. 
Si tratta di un’iniziativa curata direttamente dai Civici Musei udinesi, per mano dei curatori Silvia Bianco, conservatrice del Museo Friulano della Fotografia, Roberto Koch e Alessandra Mauro, noti esperti di fotografia contemporanea, in collaborazione con Mimmo, Angela e Barbara Jodice.



Di seguito vi proponiamo una sintesi del testo di Alessandra Mauro e Roberto Koch racchiuso all'interno del nostro catalogo che accompagna la mostra.


Quella di Mimmo Jodice è una vocazione artistica iniziata con il dono di un ingranditore fotografico da dismettere. Quel regalo, capace di creare immagini proiettandole su un foglio di carta, ha segnato l’inizio di cammino nella visione e di un interrogarsi continuo sul valore che questa stessa visione possiede. 
Nella solitudine della camera oscura, tra le sue mani di giovane fotografo, l’immagine cominciava ad affiorare diventando subito documento di qualcosa che è accaduto, ma anche oggetto autonomo, creazione personale. Così sono nate le sperimentazioni degli anni Sessanta, raccolte nella prima sezione, Indagare, sperimentare, tanto vicine alle pratiche artistiche di quegli stessi anni. La fotografia di una mano su un foglio, ce la mostra mentre scrive una frase semplice, quasi una tautologia: quella che abbiamo di fronte è una vera fotografia. Ma, come dice Jodice, in verità quella scritta “smaschera la pretesa di restituire la realtà fedelmente anche quando è in scala 1:1”[1]
La riflessione linguistica comporta anche un’ulteriore riflessione su quale possa essere, per chi utilizza questo linguaggio, il giusto ruolo in una dimensione sociale complessa e difficile. Nella Napoli degli anni Sessanta e Settanta, Jodice realizza altri progetti di impianto militante e Gli effetti del reale, le opere raccolte nella seconda parte, mostrano lo stupore e la conoscenza che hanno guidato il fotografo nella ricognizione del suo territorio.

                              

È agli inizi degli anni Ottanta, con le Vedute di Napoli, che l’autore imprime una svolta al suo lavoro. La città appare adesso svuotata di quelle voci, quella passione che la animano per lasciare un silenzio nuovo che inonda lo spazio, quasi mischiandosi col pulviscolo di luce. Ogni riferimento cronologico è annullato. Lo stupore, ora, è tutto per la scoperta di una Napoli surreale, come nella terza sezione dove la dimensione metafisica si intreccia alla quotidianità del vivere. 
Se l’autore chiede alla realtà di rivelarsi in una sua complessità differente, chiede ugualmente alla memoria di restituirgli i volti e le immagini che dal passato tornano a porre le loro eterne domande. Napoli, ma potremmo dire il Mediterraneo intero con la sua storia millenaria, raccoglie ancora, intatta e pronta a essere svelata, La memoria indelebile del tempo e del suo glorioso passatoNascono così i lavori che Mimmo Jodice realizza sul patrimonio artistico del nostro tempo, dalle pitture del Museo di Capodimonte agli atleti della villa dei Papiri di Pompei che ci accolgono, alla splendida serie Anamnesi, che ci irretisce in un carosello di sguardi del passato. 
Jodice è un grande “misuratore di spazi”, in grado di percorrere, oltre a Napoli, anche altre città e indagare quelle apparizioni del mondo da cui siamo partiti. Nel tempo, il suo sguardo si è allenato in molte ricognizioni urbane a Boston, Parigi, Roma, Milano, Torino, Trieste e ancora San Paolo Toronto o Montréal: tante tappe di un percorso che definiscono cosa sia lo spazio urbano. 
È stato detto che Mimmo Jodice si muove come una sorta di rabdomante alla ricerca di immagini da trovare a portare alla luce. E il rabdomante trova alla fine la fonte della sua ricerca: l’acqua del mare, lontana e misteriosa, eppure così vicina per chi, come lui, è nato sulle sponde del Mediterraneo. 

Di fronte al mare si può contemplare lo spazio, pensare ai luoghi del mondo e perdersi. Soprattutto, si può tentare di risolvere l’ultimo degli enigmi che il mestiere di fotografo propone: l’enigma della luce. Imbrigliare la luce nella spuma del mare, nelle piccole onde che ne sfiorano la superficie; cogliere i bagliori di fine giornata o i lampi dell’alba sullo specchio di acqua salata; fissare con la luce il confine netto dell’orizzonte che separa il mare dal cielo: sono operazioni di una complessità incredibile, da realizzarsi con molta pazienza, tanta saggezza, profonda sensibilità e un continuo, incessante allenamento dello sguardo. Proprio ciò che fa Jodice e che rende il suo lavoro così magico e assoluto. 

[1] Roberta Valtorta, “L’uomo, il luogo, l’apparenza”, in Mimmo Jodice, Federico Motta Editore, Milano, 2003, p. 39 

Didascalie: 
© Rebecca Paviola

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