Ingranditore: Magnum Magnum

Pubblicato il : 25/03/2024 17:07:53

Nella storia della fotografia ci sono personalità che rappresentano veri e propri capisaldi. Si tratta di fotografi che hanno posto le basi di questa disciplina e fornito contributi di inestimabile valore. Marc Riboud, che ha lavorato per mezzo secolo sempre con la stessa sobria autorevolezza, è per me uno di quei fondamentali punti di riferimento. La mia conoscenza della Cina è probabilmente dovuta alla sua opera innovatrice, realizzata a partire dagli anni Cinquanta. Una lunga dedizione nel documentare il mondo cinese, ampiamente ricompensata dai risultati. Riboud ha fotografato quel paese da prima dell’arrivo della Rivoluzione culturale fino al periodo del cosiddetto boom economico. Le sue immagini sono apparentemente semplici. Come tutti i grandi fotografi, Riboud le fa sembrare elementari, ma in realtà cura meticolosamente la composizione, in modo che ogni elemento si trovi al posto giusto. Gli scenari sono complessi e significativi. Ora ci chiediamo: Riboud deve essere considerato un artista o un fotoreporter? Difficilmente, suppongo, potrebbe vantarsi dell’abilità nel portare a termine un lavoro su commissione nel tempo e nel modo giusto. La maggior parte, se non la totalità, dei suoi lavori più noti sono stati realizzati seguendo un impulso o un’iniziativa personale e la mia impressione è che le sue migliori foto siano quelle per così dire autonome. Si tratta, in altri termini, di immagini che possono risultare molto efficaci anche se viste fuori dal contesto in cui sono nate, memorabili per il loro valore visivo o estetico. Credo che Riboud sia uno dei pochi fotografi riusciti a saldare insieme fotogiornalismo e arte. In questa selezione ero incerto se includere o meno la famosa foto del 1968 che ritrae una donna con un fiore in mano davanti alle armi della polizia. Alla fine sono stato irresistibilmente attratto dalla citazione che, di quell’immagine, lo stesso Riboud ha fatto per un poster del 2003. Si tratta di una convincente dimostrazione di come le sue foto siano entrate ormai nella leggenda.

Martin Parr

  

Ciò che mi piace della fotografia è il suo saper rappresentare la vita nel momento in cui viene vissuta, e questo aspetto secondo me ha una forte valenza politica, a prescindere dal soggetto trattato o dal metodo cui si fa ricorso. Emin Özmen spiega che a motivare il suo lavoro è la necessità di documentare e testimoniare, per non lasciarsi sfuggire le atrocità cui ha assistito.  Credo che ci accomuni l’interesse per la capacità delle immagini di risvegliare e turbare, di provocare un sentimento, di agire come un potenziale motore di cambiamento.  Condividiamo inoltre un’attenzione particolare per coloro che, in un dato momento, si trovano a portare sulle proprie spalle i fardelli più pesanti di un mondo miserabile. Emin rievoca i versi di una poesia di Nâzım Hikmet: “Se io non brucio / e tu non ardi, / se tutti e due non prenderemo fuoco, / chi mai dissiperà / le tenebre?”.  La prima cosa che noto nelle sue fotografie non è l’atmosfera, la luce, il colore, i vestiti, le stanze, ma i gesti. I gesti cui presta attenzione e in cui mi identifico… Sono i gesti a unirci, in virtù della nostra capacità di riprodurli.

 Lúa Ribeira 

Condividi