Ingranditore ALL'IMPERFETTO DELL'OBIETTIVO di Robert Doisneau

Pubblicato il : 19/03/2025 16:03:16

All’imperfetto dell’obiettivo (Contrasto) è l’imperdibile autobiografia di Robert Doisneau, scritta con la stessa poetica allegria con cui realizzava le sue immagini. 
Pubblicato in francese nel 1989, il libro arriva finalmente in Italia in un’edizione arricchita da alcune tra le più note immagini del fotografo e da una brillante introduzione di Michele Smargiassi.
Di seguito vi proponiamo un estratto dal libro 
in cui il fotografo racconta il suo rapporto con la fotografia, sia dietro sia davanti all'obiettivo, e della sua scelta di dedicarsi a quest'arte.



La domenica è il giorno dedicato alle domande scritte. I punti interrogativi si susseguono come le croci dei vescovi in Vaticano.

“Sta cercando l’eterno nel transitorio?”.
“Si riconosce nella descrizione di Baudelaire come pittore della vita moderna?”.
“Quali sono le sue motivazioni più profonde?”. “La fotografia è un elisir di lunga vita?”.

Tali questionari inseriti nelle lettere sono molto stimolanti e rispondo per quanto possibile. Nonostante i miei sforzi, la grande busta con la scritta “posta in attesa” si gonfia fino a diventare convessa come un cuscino, che mi sarà molto utile visto che mi invitano a sdraiarmi sul lettino dell’analista. Perché si ostinano tutti a spingermi verso la mia critica fotografica, dove mi impantanerò nelle mie stesse contraddizioni, visto che il mio approccio è stato tutt’altro che logico?
È vero, non mi sono mai preoccupato di costruire la mia vita professionale in maniera accorta. Il mio percorso è stato un processo per tentativi ed errori, guidato da attrazioni e re pulsioni, sballottato dagli eventi. Ho lasciato al primo posto l’intuizione e persino una vena un po’ ribelle, con una punta di malizia pronta a guastare i sottoprodotti dell’eloquenza: spazzare via gli stereotipi mostrando che la soubrette non è sempre graziosa e l’uomo anziano a volte cessa di essere venerabile. Ho inoltre provato un vivo piacere a mettere in luce quel che si dà per scontato, sia tra gli esseri umani che nella scelta delle ambientazioni.
Tutto ciò dimostra una propensione alla disobbedienza, è vero. Al sentire la frase, “Circolare, qui non c’è niente da vedere!”, mi fermo subito. Da vero mendicante di miracoli, solo l’irrazionale mi ha a volte aiutato a trovare l’immagine inimmaginabile.
Qual è il motivo per cui lo faccio? È come chiedere al Postino Cheval quale forza lo spingesse ad afferrare il manubrio della sua carriola per andare a caccia di pietre. Non sono nemmeno un collezionista, perché penso subito alla persona a cui regalerò l’immagine che si è lasciata addo mesticare. Una generosità che forse non è così gratuita, poiché attendo con impazienza la reazione del destinatario. È un test che mi dice se sono riuscito a restituire qualcosa dell’emozione originale.
Così, quando dopo giorni e giorni di libero vagabondaggio arriva il momento di impaginare le foto, lascio la scelta finale ai nuovi arrivati, non perché io sia stanco di farlo, ma perché a partire da quel momento mi sento maldestro e inutile come un padre che si aggira per i corridoi di un reparto maternità. Solo loro possono giudicare se il bambino adottato si dimostrerà degno di affetto in futuro.
Vengo fotografato sempre più spesso. È vero che, con l’erosione causata dalle intemperie, comincio a offrire ai miei giovani colleghi l’aspetto pittoresco delle rovine che gli artisti hanno sempre amato. Accetto con pazienza di passare dall’altro lato dell’obiettivo. Questi brandelli della mia immagine sono cento volte meglio dell’indifferenza e, inoltre, mi permettono di non sorprendermi quando incontro la mia sagoma riflessa nelle vetrine di qualche panetteria.



Che mi piaccia o no, eccomi diventato uno dei sopravvissuti di un’epoca in cui la fotografia era considerata poco più di un sonaglio, buona solo per intrattenere il popolo, e tollerata dall’élite solo quando era confinata all’umile ruolo di servitrice delle Belle Arti. Era un’epoca in cui non si aveva la possibilità di ricamare su una tela un discorso pieno di riferimenti; solo una vaga preveggenza incoraggiava a insistere nell’andare avanti. Né era indispensabile attirare l’attenzione con ricerche in consuete. La scelta di questo disprezzato mezzo di espressione sembrava già abbastanza bizzarra e indicava un disordine mentale nella testa dell’imprudente giovane che si dichiarava attratto dalla fotografia.
Oggi sono i genitori a cercare un’àncora di salvezza, una via d’uscita. “Nostro figlio non è un intellettuale, non è nemmeno portato per i lavori manuali, non supera gli esami, quindi abbiamo pensato che forse la fotografia…”. I tempi sono cambiati. Ricordo ancora la costernazione provocata dall’annuncio della mia svolta avventurosa. Dovetti resistere e perseverare, nonostante la vergogna che si abbatteva su una famiglia fino ad allora onorabile.
Il desiderio di diventare fotografo poteva anche essere visto come una ribellione all’ordine sociale, ancora intimorito dalle imprese degli anarchici della Banda Bonnot. La considerazione pubblica era molto più importante di oggi. Persino i palazzi si preoccupavano di mostrare il loro status con una targa smaltata: “Acqua e gas a ogni piano”.

Didascalie:

Robert Doisneau, autoritratto con Rolleiflex. 1947 © Robert Doisneau
Il bacio dell’Hôtel de Ville. Parigi, 1950 © Robert Doisneau

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