Dal nostro archivio: Fotografia stupefacente Lewis Carroll
Pubblicato il : 15/07/2024 15:58:35
Fotografia stupefacente
1855
La recente, stupefacente scoperta nel campo della Fotografia, e cioè la sua applicazione alle attività della mente, ha ridotto l’arte della narrativa a un’occupazione meramente meccanica. Ci è stato gentilmente concesso dall’artista di presenziare a uno dei suoi esperimenti; ma poiché l’invenzione non è ancora stata resa di dominio pubblico, ci dobbiamo limitare a fornire un resoconto dei risultati, sorvolando su qualsiasi particolare concernente i reattivi chimici e i procedimenti tecnici. L’operatore cominciò con l’affermare che le idee del più fioco intelletto, una volta trasposte su carta all’uopo approntata, potevano venire “sviluppate” fino a un qualsiasi grado di intensità desiderato. Preso atto del nostro desiderio di vederlo iniziare con un caso estremo, egli cortesemente convocò da una stanza adiacente un giovane apparentemente in possesso di qualità fisiche e mentali che più deboli non potevano essere date. Essendoci stato domandato un parere sul ragazzo, confessammo candidamente che sembrava essere incapace di qualsivoglia attività, eccettuato il dormire; il nostro amico si dichiarò pienamente d’accordo con tale opinione.
Quando la macchina fu in posizione, e un mesmerico rapporto fu stabilito fra la mente del paziente e la lente di quell’oggetto, si chiese al giovane se volesse dichiarare alcunché; fievolmente rispose “Niente”. Gli si chiese allora a cosa stesse pensando, e la risposta fu, come in precedenza, “Niente”. A questo punto l’artista affermò solennemente che il paziente si trovava nelle condizioni ideali, e senza ulteriore indugio dette inizio alle operazioni.
Dopo che la carta fu rimasta esposta per il lasso di tempo necessario, venne tolta dalla macchina e sottoposta alla nostra disamina; trovammo che fosse coperta da caratteri deboli e quasi illeggibili. Un più attento scrutinio rivelò ciò che segue:
“Dolce era la sera e rorida di rugiada, uno zefiro sussurrava sull’al ta radura, e rade goccioline di pioggia rinfrescavano l’assetato suolo. Con misurato ambio, lungo il sentiero orlato di primule, cavalcava un amabile giovane dai tratti gentili, nella delicata mano un leggero bastone da passeggio; il cavallino che montava si muoveva grazioso, e inalava nell’incedere la fragranza dei fiori lungo il cammino; il calmo sorriso, gli occhi languidi, in così ammirabile armonia con il bell’aspetto del cavaliere, rendevano manifesto il pieno equilibrio dei suoi pensieri. Con dolce pur se fievole voce, lamentosamente sussurrò i dispiaceri cortesi che gli offuscavano il cuore:
Ahimé, lei respinge la mia proposta!
A straziarmi la chioma… lo fece apposta;
Sfigurato, meno bello: assai mi costa.
È stata cieca, direi avventata;
Un tempo si sarebbe innamorata;
Le circostanze l’han cambiata.
Vi fu un attimo di silenzio; il pony inciampò in un sasso sul sentiero, disarcionando il cavaliere. Si udì uno schianto sulle foglie secche; il giovane si rialzò; un’abrasione da nulla sulla spalla sinistra, e la cravatta appena scomposta, furono le sole tracce lasciate da questo trascurabile incidente”.
“Questo”, commentammo, restituendogli il foglio, “pare appartenere alla Scuola di Narrativa All’Acqua di Rose”.
“Avete proprio ragione”, ribatté il nostro amico, “e nello stato in cui si presenta ora è, naturalmente, del tutto invendibile al giorno d’oggi: vedremo, però, che il successivo stadio di sviluppo lo porterà a far parte della Scuola del Solido Intelletto, detta anche Pratico Realista”. Dopo averlo immerso in diversi acidi, ci sottopose nuovamente il foglio; ed era diventato così:
“La sera era la solita sera, barometro su ‘variabile’; il vento cresceva d’intensità nel bosco, ed iniziava a cadere qualche goccia di pioggia; brutta prospettiva per i contadini. Un gentiluomo veniva avvicinandosi lungo la pista per cavalli, reggendo in mano un nodoso bastone, e montava un resistente esemplare, del valore approssimativo di quaranta sterline; aveva in volto una radicata espressione di uomo d’affari, e cavalcando fischiettava; pareva stesse mentalmente rincorrendo rime, e alla fine ripeté, con tono soddisfatto, il componimento che segue:
La mia profferta non accettò!
Ti può andar peggio, io lo so
– le dissi –, sei folle a dire “No”.
Comunque, le cose così vanno:
per averla non mi affanno,
di migliori se ne troveranno.
In quell’istante il cavallo infilò lo zoccolo in una buca, e cadde sul fianco; il cavaliere si risollevò con difficoltà; si era procurato alcune brutte sbucciature e si era fratturato due costole; dovette passare del tempo prima che si scordasse quel giorno infausto”.
Restituimmo il documento esprimendo la nostra più profonda ammirazione e richiedemmo che venisse ora sviluppato al massimo grado possibile. Il nostro amico acconsentì con prontezza e in breve ci sottopose il risultato che, ci disse, apparteneva alla Scuola Spasmodica ovvero Tedesca. Lo sottoponemmo ad attenta lettura con sensazioni di indescrivibile sorpresa e piacere:
“Era una notte di selvaggia tempesta – un uragano straziava la foresta tenebrosa – furiosi torrenti di pioggia sferzavano la terra urlante. Lungo il precipizio di una gola montuosa – in corsa convulsa, a capofitto scendeva come la folgore un uomo – un cavaliere armato fino ai denti – sotto di lui il cavallo costretto a un folle galoppo – la bestia soffiava fuoco dalle narici dilatate, passando come in volo. Le sopracciglia aggrottate, tutte in un groppo, del cavaliere – gli occhi roteanti – i denti serrati – esprimevano l’intensità dello strazio nella sua mente – arcane visioni incombevano sul suo cervello bruciante – mentre con un folle strillo faceva tracimare il torrente della sua passione bollente:
Fiamme e stiletti! Speranza che disfiore!
In polvere finisce chi doppiamente muore!
Il cervello è fuoco – piombo mi è il cuore!
Chi sono io, se lei è l’acciarino?
Trafitto dal fiero occhio assassino,
il Nulla è il mio destino!
Vi fu un attimo di silenzio. Orrore! Il sentiero finiva in un abisso incommensurabile… Un volo – un lampo uno schianto – tutto finito. Tre gocce di sangue, due denti e una staffa era tutto ciò che rimaneva a dire dove lo sfrenato cavaliere aveva incontrato il suo fato”.
Il giovanotto fu a questo punto fatto ritornare in sé e gli venne mostrato il frutto del lavorìo della sua mente; svenne all’istante.
Trovandoci al momento di fronte a un’arte appena nata ci asteniamo da ulteriori commenti su questa magnifica scoperta; ma la mente vacilla contemplando lo stupendo contributo testé portato ai poteri della scienza.
Il nostro amico concluse la seduta con vari altri esperimenti di minor conto, come ad esempio il trattare un passaggio di Wordsworth di modo che divenisse poesia forte e schietta; lo stesso esperimento venne tenuto su un brano di Byron, su nostra richiesta, ma la carta se ne uscì coperta di vesciche e bruciature provocate dai fieri epiteti prodotti.
Una sola notazione per concludere: potrebbe quest’arte venire applicata (poniamo la domanda nella più severa confidenzialità) – potrebbe, chiediamo, venire applicata ai discorsi in Parlamento? Potrà risultare in null’altro che una delusione per la nostra calda immaginazione, ma noi rimaniamo affettuosamente abbarbicati a quest’idea, e continuiamo disperatamente a sperare.
Traduzione di Damiano Abeni