Dal nostro archivio: Crimini di guerra. Quello che tutti dovrebbero sapere

Pubblicato il : 19/01/2024 15:15:40

Nel 1999, insieme a Internazionale, Contrasto ha pubblicato la versione italiana di Crimini di guerra, il volume a cura di Roy Gutman e David Rieff e ideato a Gilles Peress, pubblicato in inglese dalla Crime of War Project e Norton Press.

In 400 pagine e in ordine alfabetico, dalla A di Aggressione alla Z di Zona di sicurezza, passando per la B Blocco come atto di guerra, la C di Crimini contro l’umanità, la M di Morti e feriti, la O di Ostaggi e la T di Terrorismo e Tortura, il libro affrontava con competenza e chiarezza, e con l’aiuto di un apparato iconografico straordinario, tutti gli aspetti connessi con la guerra, il suo diritto e le sue continue violazioni.

Oggi come allora, quel libro è di grande attualità. Oggi come allora “siamo di fronte a un paradosso. Il diritto umanitario e le norme internazionali sui diritti umani sono molto sviluppati, eppure tanti civili innocenti sono ancora vittime dei crimini di guerra ed è sempre più urgente un meccanismo che garantisca l’applicazione del diritto nei conflitti armati. Occorre però che i mass media continuino a svolgere la loro funzione di controllo, e che l’opinione pubblica sia sempre più informata”.

Pubblichiamo qui una parte dell’introduzione di Roy Gutman e David Rieff.


I tribunali di Norimberga del 1945 avevano già stabilito in via di principio l'esistenza di una categoria di fatti denominata "crimini contro l'umanità", in cui rientrano i crimini sistematici contro i civili che possono essere compiuti in un determinato paese ma peri quali si può essere processati anche altrove. La Convenzione sul Genocidio del 1948 conferì significato e forza di legge al peggiore dei crimini inclusi in questa categoria. Le Convenzioni di Ginevra del 1949 codificarono e fecero progredire le forme che regolamentano i conflitti armati fra Stati, differenziando la condotta legale dagli atti illeciti o addirittura criminali commessi in guerra. Insieme ai due Protocolli aggiuntivi del 1977, le Convenzioni di Ginevra formano il nucleo centrale delle norme concordate che regolamentano la condotta bellica. Studiosi e organizzazioni umanitarie, nella speranza di porre l'accento sulle tutele previste peri non belligeranti, hanno deciso di indicare questo ramo del diritto come "diritto internazionale umanitario". I militari preferiscono parlare di "diritto di guerra", definizione in cui includono anche le questioni connesse alle cause del conflitto armato.

 

Oggi la guerra si combatte sempre meno fra eserciti i cui ufficiali sono vincolati dal concetto di onore, e sempre più fra soggetti, spesso bambini, che non sono militari nel senso convenzionale del termine. L'obiettivo di questi conflitti è spesso la pulizia etnica, cioè l'espulsione forzata della popolazione civile della parte nemica, e non la vittoria di un esercito sull'altro. Le vittime di questo tipo di guerra, che spesso sarebbe più opportuno definire massacro, sono soprattutto i civili. Per quanto spaventoso sia stato il numero di morti della Prima guerra mondiale, i milioni di vittime di quel conflitto caddero per lo più sul campo di battaglia: furono cioè soldati uccisi da altri soldati, e non civili uccisi per brutalità illegale, casuale o pianificata che fosse. La proporzione fra le vittime militari e quelle civili della Grande guerra fu all'incirca di 90 a 10. Nella Seconda guerra mondiale, le proporzioni furono approssimativamente pari. Oggi, per 10 vittime militari ci sono circa 90 vittime civili. La realtà del nostro tempo, come è stato dimostrato in Angola, in Somalia, in Bosnia, in Ruanda e in Cecenia, è che l'uso della tortura dilaga, l'assassinio di civili è abituale e l'obiettivo principale delle offensive militari è spesso l'allontanamento forzato dei superstiti dalle loro case.

 

Crimini di guerra è concepito come un manuale destinato ai giornalisti. Ma così come la guerra è troppo importante per lasciarla ai generali, l'informazione sulla guerra è troppo importante per lasciarla acriticamente ai media. Anche il grande pubblico deve conoscere i principi morali e giuridici stabiliti dal diritto. Uno dei motivi per cui è bene che siano in molti a condividere tale interesse è che, nell'era contemporanea, l'informazione sui conflitti in atto è messa a disposizione dell'opinione pubblica senza filtri, chiavi o contesti interpretativi. Un altro motivo è che ognuna delle persone che li osservano da vicino ha necessariamente una visuale ristretta. I giornalisti che riferiscono sulle guerre e sulle emergenze umanitarie del dopo-Guerra fredda sanno molto meglio dei loro lettori o dei loro critici di operare in un territorio vergine. Nello sconvolgimento, nella confusione e nella disinformazione che normalmente circondano gli eventi bellici, capire che cosa sta veramente accadendo è tutt’altro che facile. Inoltre, la formazione dei giornalisti non li prepara adeguatamente a operare le necessarie distinzioni fra atti legali, atti illegali e atti criminali. Il bombardamento dell'ospedale di Sarajevo è un crimine di guerra o un atto di guerra legale, anche se atroce? Quando le case di presunti terroristi vengono ridotte in macerie, come avviene regolarmente in Israele, si tratta di una legittima sanzione da parte dello Stato o di un crimine di guerra? Quando i belligeranti si infiltrano fra la popolazione civile, come avveniva in Vietnam e come è avvenuto più recentemente in Ruanda, si è di fronte a una violazione delle convenzioni internazionali?

L'indizio più certo che è stato commesso un grave crimine di guerra è spesso la fuga in massa di civili. Ma queste persone potrebbero fuggire per scampare a un crimine o alla sua minaccia immediata, com'è ripetutamente avvenuto nel Sudan meridionale durante la guerra civile che ha dilaniato il paese; oppure perché obbediscono a un ordine dei propri governanti, ma intendono tornare in armi per distruggere la parte avversa, come è avvenuto ai serbi fuggiti nel 1991 dalla Slavonia croata. Può darsi che fuggano dietro insistenza dei loro capi politici che intendono farli apparire come vittime di un crimine, come nel caso dei tagichi fuggiti in Afghanistan nel 1993, o perché loro stessi e i loro capi hanno commesso crimini gravissimi e temono la giustizia o il castigo, come nel caso degli hutu ruandesi fuggiti nello Zaire orientale nel 1994 subito dopo il genocidio. Sono distinzioni difficili da operare già in circostanze favorevoli, e ancor più sotto la pressione delle scadenze che contraddistingue l'attività giornalistica.

A volte il diritto di guerra è frustrante perché sembra contraddire l'intuizione. Il diritto internazionale umanitario, come evidenzia il contenuto di questo volume, non riguarda le cause o le origini di questa o quella specifica guerra né stabilisce quale delle parti belligeranti ha ragione e quale torto, ma riguarda soltanto il metodo con cui quella guerra viene combattuta. Tuttavia, il fatto che il diritto non possa dare risposta a ogni domanda né metterci al riparo da tutti i dilemmi morali che la guerra suscita, non significa che essa sia priva di risposte o che non possa costituire un baluardo contro la barbarie o il crimine. Comunque sia, capire è sempre difficile ma lo è soprattutto in presenza di una guerra, dove può essere arduo resistere alla tentazione delle spiegazioni facili. Secondo il giornalista inglese Lindsey Hilsum, quando un reporter scrive che il teatro di guerra è in preda all'anarchia, o ricorre a stereotipi irresistibili come quello di definire un conflitto come il frutto di antichi odi etnici o tribali, è assai probabile che non abbia compreso a fondo quello che sta accadendo.

Al grande pubblico questo libro dovrebbe permettere di diventare consumatori di notizie più consapevolei rendendo evidenti quali siano i parametri per giudicare i governi e i gruppi di osservazione. È nostro auspicio che, se il grande pubblico acquisirà una migliore e più diffusa conoscenza dei principi del diritto, e se gli organi d'informazione e altri osservatori presenteranno dati di fatto pertinenti, le risposte a tutti gli interrogativi scaturiranno da un dibattito veramente informato. Questo concetto è stato espresso con la massima concisione da Joseph Pulitzer quando scriveva: "Non esiste un crimine che non viva nella segretezza. Portate alla luce questi fatti, descriveteli, attaccateli, ridicolizzateli sulla stampa, e prima o poi l'opinione pubblica ne farà giustizia". È anche la speranza di chi ha contribuito a realizzare questo libro.

 

Auschwitz, Polonia, 1979.


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