16,8 x 24 cm 242 pagine 130 fotografie a colori e in b/n cartonato
Mario Cresci.Un esorcismo del tempo – An exorcism of time è un affascinante racconto intorno ai lavori che l’autore ha realizzato in Basilicata tra gli anni Sessanta e Ottanta: una profonda ricerca visiva dove si intrecciano le indagini su territorio, identità sociale e cultura materiale in un’originale e profonda meditazione sul tempo, pubblicato in occasione della grande mostra omonima prodotta dal MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo e aperta al pubblico dal 31 maggio al 1 ottobre 2023. Il libro è un omaggio, come scrive Marco Scotini, curatore del progetto con Simona Antonacci, “alla grande fotografia di Mario Cresci (eretica, contaminata, fuori di sé) e all’ininterrotta sfida del suo autore contro il principio stesso che fonda lo specifico fotografico: quello di ‘fissare nel tempo l’immagine di un evento’ come un atto unico e irripetibile. Vale a dire, come un taglio istantaneo nel mondo visibile, dato una volta per tutte”. La permanenza nel Mezzogiorno diventa il viaggio di un nomade sedentario, che si immerge in una dimensione lontana da quella di origine, vivendo a stretto contatto con la comunità e il territorio. La sperimentazione sul mezzo fotografico prosegue attraverso la riflessione sull’ambiguità dell’esperienza percettiva, l’indagine sul valore semantico dell’immagine e il suo rapporto con il tempo, la memoria, l’archivio, con cui costruisce un discorso critico articolato e colto intorno al linguaggio visivo. Le straordinarie serie in bianco e nero dedicate agli interni domestici, ai gruppi di famiglia, agli oggetti di uso comune, alle “fotografie di fotografie” sono come veri e propri archivi della memoria accompagnate dai testi di Alessandro Giuli, Presidente della Fondazione MAXXI, Marco Scotini, Simona Antonacci, Anselm Franke e Elisa Giuliano, Joseph Grima e Lindsay Harris. In ogni foto l’idea di memoria non riguarda solo il contenuto ma investe direttamente la tecnica in cui non c’è cumulazione cronologica o passaggio lineare ma solo ripetizione: si delinea così il profilo di Mario Cresci, autore che ha realizzato un lavoro che oggi si rivela di grande attualità, incentrato sull’ascolto e la comprensione dell’altro.
Mario Cresci nato a Chiavari nel 1942 è una figura centrale nel panorama della cultura visiva italiana, ha saputo integrare la riflessione di ordine estetico sul linguaggio fotografico con la ricerca sul campo, l’interesse antropologico e l’impegno sociale. Dopo aver frequentato il Corso Superiore di Design Industriale a Venezia, Cresci entra in contatto con l’ambiente artistico romano e avvia sperimentazioni in cui la fotografia si relaziona strettamente con la progettazione grafica e urbanistica. Nel 1967 viene incaricato, insieme al gruppo Polis, di redigere un piano regolatore per la città di Tricarico, dove elabora un progetto di collaborazione con i cittadini e realizza una serie di ritratti degli abitanti, ripresi all’interno delle proprie abitazioni. Tra il ’68 e il ’69 approfondisce la ricerca sul rapporto tra natura concettuale del linguaggio fotografico e partecipazione, realizzando progetti come Esercitazioni militari (1968) e l’Environment fotografico, creato presso la galleria Il Diaframma di Milano (1969). Tra il 1969 e il 1988 si stabilisce in Basilicata dove, oltre a portare avanti la ricerca in ambito fotografico, apre uno dei primi studi di grafica della regione, conduce numerosi workshop, diventando un riferimento per molti giovani fotografi, artisti e grafici lucani, e realizza una serie di importanti pubblicazioni, tra cui Matera. Immagini e documenti (1975), Misurazioni. Fotografia e territorio (1979), La terra inquieta (1980), L’archivio della memoria.Fotografia nell’area meridionale (1980), Martina Franca Immaginaria (1981). Nelle numerose pubblicazioni che si susseguono, Cresci esplora le potenzialità narrative dell’immagine attraverso processi di comparazione, associazione, manipolazione e contaminazione. Nel 1984 fa parte del gruppo di autori inclusi nel progetto Viaggio in Italia e dagli anni Ottanta in poi la sua attività artistica è inscindibile da quella di docente, e poi direttore, presso l’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo, e di docente presso diverse istituzioni, tra cui l’ISIA di Urbino e la Fondazione Modena Arti Visive.